L'installazione di Daniel Arsham all'Unité d'Habitation di Marsiglia |Elle Decor

2022-10-22 21:06:26 By : Ms. Olivia zhang

Una mostra che gioca con gli spazi e gli studi del grande maestro svizzero per riflettere sul passato e sul futuro attraverso lo sport.

Forse non tutti sanno che una delle architetture più iconiche di Le Corbusier e quindi del mondo intero ospita sul suo tetto uno spazio espositivo voluto e curato da Ora Ito. L’Unité d’Habitation, celebre esperimento dell’architetto svizzero, edificato tra il 1947 e il 1952, avrebbe dovuto dotarsi di una grande palestra sul tetto, a disposizione degli inquilini. Progetto mai realizzato, ragione per cui, dopo anni, è stato messo in vendita. Nel 2013, quando Marsiglia era Capitale della Cultura, questo spazio d’eccezione ha preso il nome di MAMO, piccolo gioco di parole che, en verlan, scimmiotta il celebre padre newyorkese, e che nasconde un omaggio alla città mediterranea e a Le Corbusier. Marseille Modulor è ora uno spazio polifunzionale, che ha saputo attirare artisti quali Felice Varini, Dan Graham e Jean-François Fourtou tra gli altri.

Si tratta senza dubbio di uno spazio privilegiato per opere e installazioni a stretto contatto con l’architettura affacciata su una delle strade residenziali della città, non lontano dalla Corniche e dal mare. Il celebre profilo nautico, che dalla strada sembra pronto a salpare, ispira di per sé progetti site specific, che sanno dialogare con i tanto caratteristici volumi di cemento. L’esposizione di Daniel Arsham, visitabile fino al 25 settembre e intitolata Le Modulor du Basketball, non fa eccezione, anche se declina alcuni temi ricorrenti dell’artista rifuggendo un’ottica troppo ancillare, per parlare dei grandi temi eterni, come lo scorrere del tempo e l’avvicendarsi delle civiltà.

Per farlo, usa la chiave dello sport. Le ultime collaborazioni con Tiffany e Lewis Hamilton hanno preso a prestito feticci del mondo atletico (una palla da basket, un casco da formula uno), facendone metafore di un mondo passato o alieno. I gesti irripetibili, le passioni sopite dei tifosi, le regole di giochi dimenticati sono scomparsi: sono rimasti solo gli oggetti. Nominato direttore creativo dei Cleveland Cavaliers, Arsham è ben inserito nel contesto di questi idoli contemporanei, e ha saputo così immaginare quelli che calcano le arene e i campi da gioco del passato (o del futuro), venerati dalle folle, strapagati già nel mondo classico e seppelliti con onori degni di imperatori.

L’esposizione, si divide in due ambienti. La terrazza, ovvero il “ponte” della nave di Le Corbusier, diventa un sito archeologico. Come in un improvviso flashforward, grandi statue bronzee mescolano le forme classiche delle Veneri a quelle futuristiche (ma retrò) della DeLorean di Ritorno al futuro. A unirle, incrostazioni cristalline, che ne fanno relitti del passato, tanto simili da poter quasi appartenere alla stessa epoca.

Nello spazio interno, invece, una parete a specchio sormontata da un canestro forma una mano aperta, mentre nel fondo classico e moderno si fondano in un graffito trompe l’oeil sul cemento, dalle linee ieratiche: è la sagoma del Modulor che si anima in una sequenza d’azione. Il codice cromatico è mutuato proprio dalla Cité Radieuse mentre gli elementi grafici rimandano al Poème de l’Angle Droit, un disegno dell’architetto reinterpretato e proiettato a terra.

Una commistione che continua anche negli arredi di questo campo da basket del futuro: rastrelliere di palloni nella forma derivata dai grandi classici del design LC4 e LC2, bandiere con il nome delle Unité d’Habitation, e un Modulor che si incarna nel Jumpman di Michael Jordan, simbolo stesso dello sport e della sua grazia, ma anche della sua deriva mass-popolare e capitalista. Se il pallone da basket è sostituito da un sole, i suoi raggi delimitano il campo un campo da gioco celestiale.

Stili architettonici e urbani distinti si stratificano, nella grande epoca di un passato onnicomprensivo e troppo lontano per serbare le differenze.